martedì 8 febbraio 2011

PER SEBASTIAN, PATRIZIA, FERNANDO E RAUL


Non ricordo più come si chiamasse. Tatiana forse.
Era un'adolescente rom abituata a questuare nell'elegante via Sparano di Bari.
Aveva il sorriso più bello che io abbia mai visto.
Non faceva parte del gruppo di bambini di cui mi occupavo io. Per me italiani dei quartieri popolari.
Ogni tanto mi fermavo con la mia amica Maria Grazia a parlare con lei.
Ci sedevamo a terra anche noi e domandavamo di lei, dei suoi fratelli, se suo padre l'aveva picchiata, se aveva bisogno di abiti, di giocattoli, se voleva imparare a scrivere o preferiva che le leggessimo una favola.
Lei, schiva, rispondeva a tratti poi cominciava a parlare in romanè e ci prendeva in giro. Lo capivamo dalle risatine che aggiungeva al termine di ogni frase. Però era contenta di vederci e curiosa di quel mondo così diverso dal suo.

Poi ci sono stati i bambini della casa vacanze.
Quelli pieni di pidocchi; avevo vent'anni e per paura di prenderli ho passato tutti quei giorni con i capelli intrecciati, lavandoli più spesso possibile.
Raccontavano delle baracche di lamiera, del freddo, dei topi che pranzavano con loro.
Ed era tutta una gara con i bambini dei bassi di Napoli, a chi il topo l'aveva visto più grosso.

Un'altra rom mi svuotò lo zaino del portafoglio su un autobus che portava al centro di Roma.
Bambini allenati a delinquere dalla più tenera età, trascinati nel vortice di famiglie senza patria e senza certezze.

Egregio sig. Granzotto, lei è mai stato in un campo?
Ha idea veramente delle condizioni in cui si sopravvive in certi posti? 
Sono luoghi abitati soprattutto da minori, la comunità rom è una comunità bambina.
Vogliamo dire che è colpa loro che si sposano a dieci anni e sfornano pupi come biscotti per poterli utilizzare come specchietti per le allodole per chi ha il cuore troppo tenero?
Probabile. Ma una cultura millenaria non la puoi cambiare, puoi però garantire i diritti fondamentali dell'essere umano.
Lei ce l'ha un figlio? Io ne ho due e quando qualche giorno fa è morta una bambina italiana all'ospedale di Lodi, non ci ho dormito per tre notti. 
Un bambino non dovrebbe morire, mai. 
E' una tragedia così grande la morte di un bambino che non può non riguardare tutte le coscienze.

La questione rom non è di facile soluzione, mi rendo conto.
Ma "mamma Liliana" e "papà Mirko" che lei vuole a divertirsi al fast food mentre i loro figli si accartocciano nel fuoco, piangono disperati, si arrabattano tra i trenta sgomberi subiti in dieci anni, tra le denunce e la miseria.
Come si può pensare di assicurare una continuità scolastica a bambini le cui "case" vengono periodicamente buttate per aria all'alba, insieme a tutti i beni personali? Due quaderni pasticciati in cento giorni di scuola, il massimo che riescono a frequentare. Andati persi anche questi.
Come si può pretendere che le forze dell'ordine e i medici riescano a mettere in piedi un presidio costante ed efficace in queste condizioni?
Il decoro urbano e la fine del degrado civile e morale saranno garantiti quando non ci sarà più nessuno, rom, albanese, africano o meridionale costretto a vivere in modo disumano. 
Smantellare un campo con le ruspe, unica soluzione secondo lei percorribile, significa solo ignorare il problema, spostarlo nel tempo e nello spazio.
E intanto a pagare resteranno come sempre i bambini.

13 commenti:

  1. è vero! vivono in situazioni disumane e non è possibile pensare di pretendere che abbiano in questi casi una scolarizzazione che li renda simili agli altri.....finchè vivranno in situazioni simili saranno sempre dei disagiati, i bambini continueranno a morire e noi ad essere una popolazione che li sta a guardare.

    RispondiElimina
  2. quoto il tag che hai usato: "le cose che non capisco". Quante tragedie...nate dai disagi di una società in frantumi, una società che ha perso il controllo di se stessa. Mi viene da piangere per la rabbia e per un sempre meno velato senso di fallimento, ascolto i telegiornali, leggo i giornali... tragedie, una dopo l'altra, che maturano in un paese paralizzato di cui comincio a vergognarmi di far parte, monopolizzato e guidato e opposto da schifosi.
    "le cose che non capisco".

    RispondiElimina
  3. grazie per questo soffio di umanità

    RispondiElimina
  4. siamo in tanti ad essere sensibili e sensibilizzati, ma sono sempre in pochi colori che devono decidere se e come aiutarli, perchè il quando aiutarli non dovrebbe neanche esistere. Buone cose Carla. Mela

    RispondiElimina
  5. I genitori dei 4 bimbi rom (solo qui ho potuto leggerne il nome e questo la dice lunga sul razzismo italiano) sono ufficialmente indagati per un reato ben preciso del nostro ordinamento. L'integrazione passa anche per la rigida applicazione della Legge. Se ci fosse una sentenza esemplare, cosa che comunque non credo, potrebbero forse anche essere evitate altre stragi prima di realizzare i peraltro indispensabili interventi strutturali nei campi e/o immaginare l'imposizione di modifiche nello stile di vita di alcuno.

    RispondiElimina
  6. Mi chiedo se un briciolo di umanità sfiori mai i nostri "signori governanti"...che sono nostri dipendenti, non scordiamocelo!
    Bello questo post, lo girerei proprio a chi di dovere.
    Bacio :*

    RispondiElimina
  7. cose che non si capiscono, in effetti....
    lyric

    RispondiElimina
  8. Non riusciamo a capire che siamo una nazione non dell'europa dell'ovest.....ma di un altro mondo.

    RispondiElimina
  9. SBLOGGED
    Non c'è dubbio che la legge debba valere per tutti. Ma se avessero una casa normale in cui abitare, rischierebbero così facilmente di morire per il fuoco o la polmonite? Quanta gente lascia i figli minorenni soli in casa? Quanti bambini vanno a scuola senza essere accompagnati? Eppure non hanno la stessa bassa aspettativa di vita come i nomadi. Ciao.

    RispondiElimina
  10. COSIMO
    Mi spiace ma non ho capito. Grazie.

    RispondiElimina
  11. PER TUTTI GLI ALTRI
    Grazie dei vostri commenti. E' bello sapere che non solo la sola a pensarla così.

    RispondiElimina
  12. È un argomento buono per sottoporre chiunque a un esame di senso di responsabilità. Non penso che conti l'aver visitato un campo rom (io ci sono anche stato, una sola volta, ma in quell'occasione non ho notato niente di che, se non che occorre essere "ammessi" da uno di dentro, e vai solo dove va bene a loro, tipo visita turistica in URSS ai tempi di Breznev). La cosa che noto è che tra le voci più chiassose ci sono sostanzialmente due posizioni, ognuna delle quali guarda a una parte del problema e non si preoccupa dell'altra, ciascuna parte essendo quella opposta a quelle dell'altra "fazione". Se noi che siamo ricchi (il nostro mondo, la nostra cosiddetta civiltà) non viviamo in quelle condizioni è anche perché abbiamo accettato delle condizioni costrittive che ci garantivano però delle sicurezze. Non che l'abbiamo accettato noi, qui e adesso, visto che sono cose che abbiamo ereditato e derivano da millenni di piccoli cambiamenti, però così è. L'articolo di Granzotto è una "furbata" in sintonia peraltro col quotidiano su cui l'ha scritto, dove affronta con una certa attenzione i problemi che gli zingari causano al nostro mondo, e non il problema dei diritti umani, liquidandolo con le argomentazioni tipiche di certi personaggio (quando parlano di buonisti, di radical chic, eccetera). Comunque la questione è di portata immane, ancora più complicata di quella degli immigrati che arrivano coi barconi. Mi viene in mente di un francese che ha vissuto un periodo (non ricordo quanto, forse un anno) insieme ai clochards parigini, e aveva poi scritto un libro su quella esperienza, che non ho mai letto anche perché allora non era tradotto e poi nel frattempo me n'ero dimenticato. Raccontando della vita di quelle persone, ne scaturiva un ritratto molto diverso da quello che ci si potrebbe immaginare. Penso che finché non si trovi qualcuno capace di tradurre la filosofia dei nomadi in un linguaggio a noi comprensibile, non riusciremo mai a trovare una formula per l'integrazione. Potremo solo offrire, chi più chi meno, diciamo così la carità. La stessa cultura millenaria che ci ha indotti a essere stanziali, e ci renderebbe difficile accettare le privazioni inevitabili della vita nomade. Lo stesso, all'inverso, credo che valga per loro. In quel campo nomadi di cui sopra in cui fui introdotto, per un attimo, molti anni fa, vivevano alcuni zingari che avevano un lavoro normale, come "noi", e che parevano volersi votare alla vita stanziale. Altri invece no, per scelta. Gli indiani d'america preferivano le privazioni che la loro vita comportava, piuttosto che barattare la loro relativa libertà con case, carrozze, proprietà private, ricchezza, istruzione, e un certo genere di conoscenza.

    RispondiElimina
  13. MARIANETTI
    Hai toccato uno dei temi a me cari, il punto di prospettiva. La visione della realtà cambia molto secondo il punto di osservazione. Da ragazza ho fatto quest'esperienza grazie alla Comunità di Sant'Egidio. Diventare amici dei poveri anzichè sentirsi volontari o benefattori, è davvero un'altra cosa. Un amico ti comprende, riesce a creare quel linguaggio di cui parli attraverso il quale puoi comunicare con l'esterno e far capire che quello che sembra non è detto che sia quello che è. La scuola dovrebbe andare nei campi e non i nomadi a scuola, tanto per dirne una. Ma non è una cosa facile cambiare il punto di prospettiva.

    RispondiElimina