venerdì 22 luglio 2011

LA PESCA

Balzavo in piedi in un attimo, nonostante l'ora poco invitante dell'alba.
Facevo colazione e mi preparavo in un attimo, conscia della fortuna che mi era capitata.
Di solito ci andava mio fratello a pesca, le femmine erano più un impiccio.
Indossavo il costume, un giubbino e le ciabatte da mare.
Queste ultime le toglievo appena raggiunta la spiaggia per godermi quella sensazione unica che ti dà la sabbia fredda e grigia del mattino.
Aiutavo a spingere il carrello della barca sulla passerella di cemento. Sulla spiaggia, dove era più faticoso, continuavano i maschi.
La barca scivolava dal carrello in acqua, il motore era tenuto su fino ad una profondità adeguata all'avvio.
Il calore dell'acqua contrastava con il fresco della sabbia. Saltavo su in barca.
Mio padre in piedi, con il suo solito costume di lana nero e la maglia intima di lana chiara, che non si consumavano mai negli anni, remava fino a portare la barca al largo.
Abbassava il motore finchè l'elica entrava nell'acqua. Tirava per due, tre, a volte sei o sette volte la manovella che consentiva di avviare il tre cavalli.
Fissavo la schiuma che si formava attorno all'elica e mi godevo il sole che cominciava a riscaldare la pelle, fino a quando il giubbino diventava insopportabile.
Ci fermavamo in un mare blu nero, dove riuscivi a vedere la lenza per qualche decina di centimetri. Spariva nelle profondità dove cercavo di immaginare fondali luminosi e popolati di creature benevole ma lo sforzo di immaginazione non toglieva il brivido di paura che il non poter vedere il fondo provoca.
Gettavamo l'ancora, un sasso legato ad una corda. Mio padre contava a braccia i metri di fune che scendevano per stabilire la profondità e decidere se era davvero quello il posto più adatto alla pesca.
A volte ci spostavamo, coordinate piuttosto improbabili, dritti di fronte alla casa dei Percoco guardando la spiaggia e verso il terzo camino dell'Ilva, guardando Taranto.
Papà mi metteva l'esca e mi diceva di quante braccia dovevo calare la lenza per prendere i miei pesci preferiti: saraghi e vope, qualche donzella colorata. A mezz'acqua. 
Lui diceva che ero bravissima perchè nervosa, al primo sussultare della lenza scattavo come una molla e il pesce restava impigliato nell'amo. 
Era bellissimo tirare su la lenza e sentire quel corpo vivo che tentava invano di liberarsi. Sembra crudele, lo so, ma per me bambina era un'emozione unica.
Papà ci raccontava aneddoti di pesca e proverbi sui venti; alle dieci tutti a casa, tra le onde che cominciavano a infrangersi lunghe sulla spiaggia.
Ci attorniavano grandi e bambini, curiosi del contenuto dei nostri secchi.
L'acqua era fredda, in contrasto con il sole preso sulla barca.
Ci tuffavamo e restavamo a giocare tra gli spruzzi.
Cosa darei per ritrovare quella bambina felice ...

2 commenti:

  1. Bellissimo ricordo; ce l'hai quella bambina, solo che purtroppo la vita ci fa diventare grandi e le cose son sempre più complicate rispetto a quando si è bambini... il loro animo dovremmo mantenere, ma certo, non è facile. Ciao, M

    RispondiElimina
  2. MARION
    Cerco a fatica i ricordi, a volte credo di essere nata già vecchia. Vorrei essere più leggera nell'affrontare le cose. Ciao.

    RispondiElimina